Music Log

Post lungo.
Post facile.
Post difficile.
Post strano?

Le mie prime “memorie musicali” risalgono a ben 25 anni fa (anno più, anno meno). Mia madre mi iscrisse ad un’accademia musicale a Pescara, ho vaghi ricordi di un flauto dolce suonato random. Da lì a poco le memorie si trasferiscono alla Scuola Civica di Musica di Montesilvano, la metropoli nella quale ancora risulta la mia residenza. Quella scuola di musica l’ho praticamente vista nascere, quando era ancora un’entità fumosa fatta di lezioni ospitate prima dalle aule di una scuola media, poi da un ex mercato coperto. Negli anni, tra uno spartito di Lucio Battisti e uno degli 883, tra un saggio di musica e l’altro, tra un solfeggio e una nozione di teoria musicale, sono giunto a quella che sarebbe diventata la sede ufficiale della scuola, e a quella che sarebbe diventata la forma ufficiale della mia mentalità musicale. Un percorso lungo ma costante, fatto di arranger Roland e basi musicali, accordi con la mano sinistra e melodia con la mano destra. Qualche nozione tecnica di pianoforte, fondamentale. Tanto ascolto.

I generi musicali posso dire di averli attraversati praticamente tutti (e quel praticamente esclude ciò che neanche sotto tortura riuscirei mai a definire “musica”); cominciando dalla musica leggera (Battisti in particolare), che ascoltavo in musicassetta, utilizzando un registratore di quelli belli, rettangolari, brutti, sono passato ai primi walkman che, fino all’avvento dei lettori CD, sono stati testimoni della fase “rap americano” (principalmente Eminem, 2Pac, pochi altri). Questa fase è durata fortunatamente giusto il tempo per farmi rendere conto che, se avessi voluto avere a che fare con della musica “suonata”, non sarebbe stato certo quella la strada da percorrere. A partire dal primo anno di scuola superiore ho avuto modo di espandere i miei orizzonti verso generi più interessanti, ascoltando (contemporaneamente): Apptite for Destruction (Guns n’ Roses), Back in Black (ACDC), Burn (Deep Purple) e Californication (Red Hot Chili Peppers).

Tra l’altro: ma che figata è il videoclip musicale di Californication?

Comunque, da qui in poi, Alessio inizia il suo vero viaggio nella musica.

Come naturale evoluzione del percorso, sono approdato dall’hard rock al glam metal e al power metal, passando per l’hardcore punk (breve ma intenso periodo). Grazie alla fase power metal, durata diversi anni, ho cominciato ad approcciare lo strumento musicale in modo completamente diverso. Ascoltando le canzoni mi rendevo conto della presenza di tante, tante tracce di pianoforti, clavicembali, orchestra e sintetizzatori e ciò ha inesorabilmente destato la mia curiosità. Questo, senza alcuna ombra di dubbio, è stato il punto di svolta in quel viaggio che mi ha portato fino alla scrittura di questo post. Ho cominciato a chiedere al mio insegnante di poter studiare i soli di tastiera, avviando un processo che mi ha portato ad affinare le mie capacità tecniche; facilitato dalla comparsa dei lettori mp3 (il mio primo fu il Creative Zen Touch da 20GB, per poi passare ad un iPod classic) ascoltavo sempre più musica, tutti i giorni. Non uscivo di casa senza quel dispositivo, quasi fosse qualcosa di essenziale per la mia vita, ho iniziato ad accrescere la mia raccolta musicale, a catalogare i brani, ad espandere conoscenze e allenare sempre di più l’orecchio a riconoscere i vari suoni. Un altro importante turning point è stato senz’altro il momento in cui ho iniziato ad ascoltare i Dream Theater, che da allora sono una delle band musicali a cui tengo di più (e che ho visto più volte in concerto, l’ultima volta proprio a febbraio di quest’anno, pre-covid).

Con i Dream Theater, e quindi con il progressive metal (e progressive rock), ho trovato la mia dimensione musicale. Con qualche doveroso e fisiologico assestamento, questo genere è stato la solida strada sulla quale ho potuto proseguire, per oltre dieci anni, il mio percorso; mi ha permesso di allenare l’orecchio a ricevere uno stimolo musicale complesso, con un’infinità di influenze e contaminazioni da altri generi, ad abituarmi alle sfumature, alle finezze e a capire sempre meglio dove fosse quel fantomatico “punto di convergenza” tra tecnicismo, narrazione musicale e ricerca del suono. Oltre a ciò, ha soddisfatto appieno (e continua a farlo) la mia innata curiosità e predisposizione per la sperimentazione: da tastierista, per me, è stato come trovarmi in uno sconfinato parco giochi, con infinite giostre su cui salire, raccogliendo emozioni, mischiandole, per poi poter inventare nuove attrazioni. Figlio di questo periodo è un lavoro realizzato nel corso degli anni, tra mille peripezie, insieme al mio partner musicale storico, Matteo.

Ad oggi sono fiero di aver realizzato, non senza impegno e con un imprevisto finale che ne ha pregiudicato in parte la resa definitiva, questo lavoro con una delle persone alle quali tengo di più su questo pianeta.

Negli ultimi tre anni c’è stata un’ulteriore evoluzione che mi ha portato ad AFFIANCARE a questa componente progressive una più elettronica, esplorando nuove sonorità e dando giustizia a quello che è l’aspetto più rilevante del mio lavoro musicale: la ricerca del suono. Numerose volte, nel corso dei 25 anni della mia “vita musicale”, mi sono trovato a dover specificare quanto segue: “Non sono un pianista, sono un tastierista“. Perché questo? Innanzitutto per una forma di rispetto nei confronti di chi lo strumento, al contrario di me, l’ha STUDIATO per anni, dedicando ore e ore all’aspetto tecnico e non solo; io ho sempre dedicato allo studio ciò che ritenevo fosse utile per i miei scopi, dunque non mi permetterei mai di definirmi “pianista”. Poi perché, di fatto, ciò che ritengo di primaria importanza, nella mia “produzione” musicale, non è tanto l’aspetto tecnico quanto quello della ricerca e della cura del suono. Ho passato anni a lavorare anche su singoli suoni, modificando qua e là, a distanza di mesi, fino ad ottenere ciò che desideravo. Per quanto, spesso, ho sentito la mancanza di una solida base tecnica e, se potessi tornare indietro nel tempo, CERTAMENTE affronterei anche un percorso di studi classici, in questo momento, mentre scrivo questo post, sento di non poter avere troppi rimpianti, dato che è proprio questo il motivo per il quale sto scrivendo: l’annuncio (ai pochi a cui interessa) della concretizzazione di tanti anni di musica (con incostanza, con lacune, con quello che vi pare, ma tra ascolto e pratica la musica non è MAI mancata nella mia vita) in un lavoro organico, di senso compiuto.

Dunque, dopo uno sproloquio infinito per far luce sulla mia storia musicale (seppur a grandi linee, nonostante il wall of text), vado al punto.

Dal 2016 (OH NO! UN ALTRO SPIEGONE!) ho in cantiere un ambiziosetto progetto musicale, un concept album basato su una storia, una sorta di racconto da me abbozzato contestualmente alla decisione presa, in ambientazione fantasy steampunk. Dal 2016 ho più volte tentato di strutturare, di gettare delle basi per poter cominciare a comporre e a impiantare un qualcosa di concreto, ma sono sempre stato frenato da un mio bug, di cui ho parlato, tra l’altro, in

QUESTO POST

Parlo della “paura” di intraprendere un qualcosa di grande, di importante, a causa della fase preliminare, che importante quanto il “qualcosa” stesso e, soprattutto, richiede tempo, fatica, pianificazione, sforzi e, perché no, sacrifici.
Non aiutato dal mio stile di vita che, soprattutto negli ultimi due anni, mi ha portato a stare spesso fuori casa per lavoro, da febbraio di quest’anno ho deciso di parlare di questo mio progetto a una persona, un tale Valerio, per condividerlo e riprendere un po’ di fiducia in me stesso e nel potenziale che sono sempre stato convinto questo lavoro portasse con sé. Da lì, dunque, la decisione di rimettere mano alle idee, alle bozze, la decisione di fare ordine, prendere un quaderno e dedicarlo al progetto (L’AVRESTE MAI DETTO??!!?), sedermi, concentrarmi e, dopo 4 anni, iniziare. Da febbraio, tra un lavoro e l’altro, siamo arrivati a marzo e, da lì, a quello che è probabilmente l’evento più “eclatantemente” segnante per la nostra umanità, dal dopoguerra a oggi. Dico “è”, non “è stato”, perché, a differenza di quanto apparentemente in molti pensano, è tutt’altro che “finito”. Dunque, per farla breve (a questo punto lo devo come atto di pietà a chi abbia avuto il coraggio di arrivare a leggere fin qui), terminati dei lavori, il 13 aprile 2020 ho ufficialmente aperto quel quaderno e dato il via a quella che è stata una delle esperienze più strane, belle, intense, contraddittorie e conflittuali della mia vita: la scrittura di un mio personale concept album.

Ho trascorso così giornate intere alle tastiere, e poi al computer, e poi alle tastiere e, minuto dopo minuto, brano dopo brano, sono giunto, in 58 giorni, alla conclusione della prima fase di questa esperienza: quella compositiva (preliminare).

È da una mezza pandemia di tempo che ho questo post in mente, ma solo ora ho trovato la condizione mentale “giusta” per scriverlo. Avrei voluto documentare la scrittura del concept quotidianamente, tenere una sorta di “music log” (Per chi mi segue: vi suona familiare? O siete anche voi tra quelli che guardano le foto senza leggere il contenuto dei post?!!), ma la mia PROVERBIALE incostanza mi ha portato a glissare, schiacciato dalle prime 3-4 giornate di full immersion; quelle giornate in cui “Alle 11:30 pubblico questa foto” e poi, puntuale, la foto esce, alle 11:30… di 8 giorni dopo.

Poco male.

Ho realizzato del materiale fotografico che sto utilizzando per corredare questo post, ma non solo. Ho dunque deciso che, a partire da oggi, dedicherò più tempo alla condivisione di questo progetto per me così smisuratamente importante, nel quale ho scelto di coinvolgere persone delle quali ho massima stima, a livello professionale e personale. Questo progetto che, per me, rappresenta una sorta di capolinea di un viaggio lungo 25 anni, che mi porterà (spero) a intraprenderne un altro, come diretta conseguenza.

Non sto a spiegarvi il disagio provato (da me) negli anni, ogni volta che mi riavvicinavo all’idea di dare inizio a questo progetto musicale e ogni volta che questa idea si concretizzava, puntualmente, in un nulla di fatto. Tutte gli insulti autorivoltimi (…è una parola?), la frustrazione, i rimorsi, la rabbia per aver parlato del progetto alle sopra menzionate persone che stimo e ammiro, salvo poi non concretizzare una beneamata minchia, non sto a raccontarvi di tutte le sensazioni negative che hanno fatto da preludio a questa “opera”, perché ora è acqua passata.

Ora, mentre scrivo, considerando che il 70% di quanto ho messo in questo lavoro è frutto dei vagabondaggi musicali degli ultimi tre anni, posso soltanto prorompere con un liberatorio “MENO MALE CHE NON L’HO FATTO NEL 2016“. Perché si, perché sarebbe stato probabilmente di egual valore, per me, ma sono stra-sicuro che non avrebbe potuto beneficiare di una palette di spezie “esotiche”, scoperte in tempi recenti (e recentissimi). E in questo post di “bentornati” sul mio blog e di “benvenuti” in questa nuova avventura che mi vede come protagonista, in buona compagnia, non posso che ringraziare di cuore gli altri protagonisti (che svelerò man mano) che, a distanza di anni, a quanto pare – loro malgrado – non mi hanno preso per cazzaro e mi hanno rinnovato la loro disponibilità.

Più di una volta, nella mia vita, ho pensato che il tempo speso per la musica fosse tempo ben speso.

Non basterebbero diecimila post per spiegare tutte le sensazioni e le emozioni provate in 25 anni, ma anche solo in questi 58 giorni o nei successivi 58, 67, 73 giorni che serviranno per la concretizzazione del lavoro. Non so quanto tempo sarà effettivamente necessario, so soltanto che tutto il tempo che sarà speso per la musica sarà tempo ben speso.

Perché posso essere certo di una sola cosa, in questa bizzarra esistenza fatta di contraddizioni, ipocrisie, pianeti distrutti dagli stessi abitanti, ghiacci che si sciolgono, pandemie che infuriano ma anche di meravigliosi alpaca, di pesci luminosi, di aurore boreali, unicorni e arcobaleni: che la musica mai allenterà la sua presenza nella mia vita.

Cheers.