St. Petersburg

È strano che, in volo “per” e “da” San Pietroburgo abbia scritto tre post, ma questo, “su” San Pietroburgo, sia postumo.

Probabilmente avevo solo bisogno di tempo per digerire un po’ di sensazioni ed emozioni.

“Frenetica” è l’aggettivo più adatto per descrivere questa esperienza, dal punto di vista lavorativo. Stiamo parlando della “LEN European Artistic Synchronised Swimming Champions Cup”, tenutasi, appunto, a San Pietroburgo.

Nuoto sincronizzato, insomma. Uno spettacolo di movimenti, salti, capriole, coreografie e chi più ne ha più ne metta. Il mio compito lì è stato realizzare un video “report” per ciascun giorno di competizione, da pubblicare il giorno seguente. Ciò vuol dire “shooting shooting shooting” e poi “editing editing editing”. Sono quei lavori che a me piacciono perché ogni volta mi misuro sempre un po’ di più con le mie capacità, non solo “tecniche” ma anche e soprattutto gestionali. È nelle situazioni “meno ottimizzate” che si vede, ovviamente, la tara della resa del lavoro.

San Pietroburgo l’abbiamo “camminata”, il primo giorno. Che dire?
È immensa.
Ginormica.
Spaesante.
Il poco che ho visto mi ha lasciato di stucco.

Lo spazio tra il ciglio della strada e il portone della casa più vicina era probabilmente equivalente a quello che c’è tra casa mia e il mare. Spazi infiniti, tanto ordine… ma altrettanto grandi “contrasti”. Uscendo di poco dal centro comparivano palazzi enormi che sembravano rosi dai tarli, o sparati con un giga-fucile a pallettoni. Palazzi che sembravano cadere a pezzi, nei quali avresti paura di starnutire per non rischiare di far crollare tutto, eppure erano lì.

Fermi.

Anch’essi immensi, ginormici, spaesanti.

In taxi, guardando gli scenari che comparivano fuori dal finestrino, si apriva una voragine nel cervello, dove i pensieri precipitavano in perenne caduta libera, incrociandosi e cozzando, per poi continuare a cadere.

La Russia… non sono mai riuscito ad immaginare come potesse essere “La Russia”. Se la guardo su una cartina geografica mi sento male.

Immensa, ginormica, spaesante: ecco.

Non sapevo davvero cosa aspettarmi da questa città, ma alla fine penso di aver visto “esattamente” ciò che inconsciamente mi sarei aspettato di vedere e che, probabilmente, nella mia testa avevo già visto decine e decine di volte, durante i miei lunghi vagabondaggi.

Abbiamo avuto la “fortuna” di avere l’unico giorno libero proprio in occasione del Victory Day, festa della liberazione dai nazisti, pertanto la città era addobbata e la via principale, il Nevskij Prospekt, interdetta al traffico. Forse è proprio per questo motivo che ho scattato qualche foto in più con la mirrorless, altrimenti mi sarei dato al turismo fotografico da telefono.

Ecco qualche foto realizzata in occasione di quella lunga camminata mattutina.

E ho rischiato di vomitare l’anima per realizzare un piccolo “travel shooting” dal finestrino del taxi:

Ma la cosa che mi è piaciuta di più a livello fotografico, hands down, è stata l’entrata in gioco della “nuova-vecchia” Contax. Come ho già scritto in un post dedicato alla fotografia, partorito durante il viaggio di andata (?) a St. Petersburg, ho ripreso, dopo secoli di stacco, a scattare a pellicola. Ma, a differenza di quanto fatto fin dalla tenera età di 6 anni, ora ho consapevolezza del mezzo, pertanto mi diverto di più.
Ho voluto sperimentare un po’, scattando in condizioni non particolarmente vantaggiose (fuochi d’artificio, controluce estremo, sulla catwalk della piscina a 5000°C con il sudore che mi appannava la vista, cose così) e questo è il risultato:

Questa in particolare è una foto che mi sta molto a cuore.
Avevo intravisto il riflesso del tassista sul vetro e volevo scattare una foto, ma avevo sempre il cielo grigio come sfondo, dunque non riuscivo mai ad averlo ben nitido per poterlo mettere a fuoco, né perché potesse avere senso fotografarlo.

Ad un certo punto siamo passati accanto ad una sorta di strada sopraelevata, che è rimasta nella nostra traiettoria sufficientemente a lungo da permettermi di esporre, mettere a fuoco e scattare.

Questa è la foto che sono riuscito a tirar fuori :)

Sarà una foto normale, boh, ma solo per il fatto di averla immaginata così e aver aspettato (rischiando, come detto, di vomitare) con la Contax incollata all’occhio, mi ci sono un po’ affezionato. Alla foto, non al tassinaro.

E poi ho provato anche a scattare un paio di foto durante le gare, una delle quali, come ho accennato, sulla catwalk, con un caldo infinito e il sudore che mi gocciolava negli occhi.

Scattare a pellicola mi piace molto, mi rilassa. Come già detto nell’altro post: non per forza bisogna fare qualcosa per moda o convenzione, bisogna sentirsi liberi di fare un po’ il cazzo che ci pare. Il cazzo che mi pare, in questa fase del mio processo evolutivo, mi porta ad essere affascinato da quel mondo che ha dato i natali alla mia più grande passione di sempre, nelle modalità con le quali tale scintilla è scoccata, circa ventiquattro anni fa.

Ecco il perché del “post postumo”: avevo effettivamente bisogno di metabolizzare un po’ tutto. Un po’ di lavoro, un po’ di piacere, tanta passione, tanta dedizione, un pizzico di sperimentazione et voilà.

Ovviamente non mi sono inventato nulla, ma spero di essere riuscito un minimo ad aprire una finestrella sulla mia visione di quella che è la fotografia: è una parte di me, un modo di vivere.
Non riesco ancora ad identificarmi in un genere preciso perché adoro sperimentare, e di sperimentare nella vita non si dovrebbe finire mai.
Dunque, con curiosità, provo cose nuove (per me), come la camera 360, con la quale mi sono divertito a fare un po’ di robe, sia per lavoro che per diletto

E vi lascio anche un link alla mia pagina Instagram. Ci sono tutti i post che ho fatto mentre ero lì e anche la storia in evidenza.

E insomma… tante robe.

E continueranno, perché non ho mica intenzione di smetterla di produrre robe. La mia vita è questa. Ho bisogno di fare cose, tante cose.

L’importante, come dico sempre, è avere qualcosa da raccontare.

Questa era la mia San Pietroburgo.

Ceers