Macchia Mediterranea

Il verde è sempre stato il mio colore preferito.
Il verde dei prati, degli alberi, il verde dell’acqua di mare. Con una sola eccezione: il “verde oliva”. Quel verde molto poco brillante, con tanto giallo in mezzo, quel verde così poco verde da sembrare quasi un altro colore. Quel verde che abbonda tra la vegetazione di cui si compone la macchia mediterranea.

Il mio primo contatto visivo “importante” con la macchia mediterranea fu alle isole Tremiti, con i miei genitori, abbastanza anni fa da non ricordare quasi nulla se non che, appunto, fui colpito dalla vegetazione, a me così poco familiare.

isole tremiti macchia mediterranea

[Qui sopra una foto scattata mille anni dopo, sempre alle Tremiti]

Ad ogni modo, ad un certo punto della mia vita Giungo in Gargano.

Non so perché ma da quando ho realizzato questa sequenza time-lapse [qui sotto un frame] l’ho immediatamente inserita sotto la voce “macchia mediterranea” nella mia enciclopedia mentale. Ricordo il momento in cui l’ho scattata come se fosse ieri: avevo appena ultimato un’altra sequenza all’arco di San Felice e stavo tornando verso la macchina. Avevo il fisheye con me, questa è l’unica clip nella quale l’ho utilizzato; poco dopo, tornando verso la macchina, mi sono imbattuto in alcune lastre di amianto. Così, per gradire.

Sentimenti contrastanti montano in me: fastidio per quel verde oliva così… olivastro e apprezzamento per la bellezza e la varietà del paesaggio nel quale era inserito.

Nel mio cuore, al primo posto nella classifica dei colori, c’è sempre stato il verde e, in quello della classifica dei luoghi, la montagna.
Qui, in Gargano, ho cominciato a notare uno scenario naturale a me nuovo, simile soltanto a ciò che ho visto a Punta Aderci, ma molto più potente. Qualcosa che somiglia tanto ad una montagna immersa nel mare. Mastodontici ammassi rocciosi innalzarsi per decine di metri sopra l’acqua, insenature, coste irregolari, frastagliate, archi di roccia e poi… boschi. Immensi boschi.

Esplorando ho potuto scoprire ogni sorta di veduta, dai prati alle colline, al bosco, al mare, al lago e chi più ne ha più ne metta.

Io ne ho queste, quindi ne metto queste, giusto per rendere l’idea:

E poi ulivi a perdita d’occhio, portatori sani di quella tonalità di verde che poco gradisco.
Ulivi in ogni dove, dalle forme intrecciate e stravaganti.
Ho girato così tanto in Gargano da aver potuto raccogliere talmente tante emozioni, spesso contrastanti, da non poter nascondere un certo bipolarismo sul tema.
La pace e la tranquillità comunicatemi dagli scenari naturali spesso si contrapponevano ad una fastidiosa sensazione di disagio scaturita da una presenza umana tanto disordinata e infestante. Barche, rimesse per barche, casolari, automobili, il tutto nel modo più invadente e meno ecosostenibile possibile. Pezzi di legno, di ferro, di vetro, rottami sparsi, travi rotte, reti squarciate, bidoni vuoti, ribaltati, cisterne, ganci, lamiere, persino lastre di amianto. Tutto questo a così stretto contatto con la natura. Un’infestazione di interi tratti costieri, rive di lago, aree boschive. Una sorta di parassitosi, l’uomo che abusa dell’ambiente senza realmente pensare alle conseguenze né tantomeno ad un minimo di senso civico.

Non sono mai stato a contatto diretto con situazioni di degrado estremo, per fortuna (diciamo che me ne sono tenuto alla larga), ma a livello di associazione mentale tante piccole situazioni vissute in Gargano mi fanno pensare a zone remote, dimenticate da Dio.
Nella mia mente questi scenari di incuria, di degrado, di abbandono sono spesso associati alla macchia mediterranea che circonda tali squarci di inciviltà.
Quante volte, andando via da un luogo, ho fantasticato sulle persone che lo abitano, quante volte mi sono interrogato circa lo stile di vita condotto da queste, sul perché farsi andar bene una tale condizione. A volte penso che sia un discorso culturale, una mentalità legata al vivere di espedienti, alla giornata, con una strizzatina d’occhio all’illegalità. Ma ho passato talmente tante ore immerso in questi scenari che credo di averne interiorizzato una parte della negatività che mi comunicano. In ogni foto scattata in quei luoghi rivivo i pensieri e le elucubrazioni che le hanno accompagnate, come ad esempio qui:

È difficile spiegare bene cosa provo ricordando quei tramonti e quelle nottate, quei cieli neri e quelle luci, quei neon che illuminavano le travi spezzate, le reti rovinate, con le maglie che quasi non reggevano più il peso di quel degrado, i cani che abbaiavano e quelli che si avvicinavano, trasandati anche loro, probabilmente in cerca di cibo.

Non so se sono io, ma nel corso degli anni ho sviluppato delle associazioni talmente sedimentate che è diventato naturale guardare una cosa e ritrovarmi da tutt’altra parte col pensiero, talmente naturale da non capire se c’è effettivamente modo di spiegarle oppure se siano soltanto una cosa mia.

Non è la prima volta che cerco di tradurre in parole ciò che penso, di rendere partecipi altre persone, ma ho sempre la sensazione di non riuscire nel mio intento. A volte rinuncio in partenza.

Altre, come ora, nelle quali ci provo, per poi ritrovarmi a farneticare.

È un po’ il discorso della strada per andare in piscina, o alla scuola civica di musica, o quella per tornare a casa da via del Milite Ignoto. Chiaro, no?

…suppongo di no.

Ad ogni modo, sono sensazioni. Non te le togli di dosso.

E in mezzo c’è sempre un po’ di macchia mediterranea.

Come questa: